Il pretino Giuseppe Barbero, nelle fotografie degli anni 1943-1945, ci appare fragile. Fu vestito d‘alpino e lo mandarono in Grecia. L‘armistizio dell‘8 settembre 1943 lo sorprende a Parga. Con questa data inizia il suo diario e la lunga marcia. Grecia, Albania, sino ai confini di Bulgaria e Ungheria. Assiste impotente alle rappresaglie contro i partigiani. Marce continue. E tanta fame.
Poi chiuso in un vagone. Feriti, fetore, urina ed escrementi. Il 16 ottobre 1943, al confine austriaco, lo aspetta un pane per 42 persone. Poi riprende il viaggio. Ratisbona, Norimberga, Francoforte, Colonia, Düsseldorf, Duisburg, Hamm, Rheine, Meppen. Il 19 ottobre capisce d‘essere finito nel girone dei dannati. Gelidità e fame. Conosce gli ufficiali che aderiscono al Partito Fascista, creando divisioni tra gli internati militari. Il 25 novembre 1943 tre pezzi di pane vengono tirati a sorte. Come lui più di 600.000 altri internati italiani, schiavi del Terzo Impero: soldati che hanno deposto le armi e nulla più vogliono sapere della guerra.
L‘8 dicembre, con altri 7 cappellani, parte per Dortmund. Nevica.
Nella zona di Dortmund opererà sino al 7 maggio del 1945. Sino alla pace. Qui vivrà tutta la crudeltà e la violenza degli ultimi sedici mesi del conflitto. Egli si muoverà tra i campi che recludono gli internati militari italiani (prigionieri di guerra o lavoratori coatti) di Dortmund, Hagen, Bochum, Recklinghausen, Iserlohn e Witten. Con loro russi, polacchi, olandesi, francesi… Nei primi mesi del 1945 il suo raggio d‘azione si estenderà sino a Lippstadt, Soest, Castrop-Rauxel, Gelsenkirchen e la provincia di Ennepe. Un pianeta che, il 7 maggio del 1945, appare come un‘immensa maceria.
Assiste circa 400 IMI nel momento del trapasso: morti di fame e di freddo, chi crepa per le percosse, le ferite, chi è consumato dalla polmonite, tubercolosi e meningite. Sono scheletri. Nudi e tremanti. Un giorno 4 morti. 20 sepolture in una settimana. Altri 3 stanno rantolando tra i pidocchi. La settimana a metà del maggio del 1944 sotterra 32 vittime: una croce di legno, una preghiera e una nota nel suo diario con l‘indirizzo dei familiari. Gli scriverà una toccante lettera, la cui minuta è arrivata sino a noi. E poi i bombardamenti. I caccia alleati arrivano improvvisi. I bombardieri scaricano bombe di notte e di giorno. A volte, sul Bacino della Ruhr ne scagliano 200.000 in poche ore. Le città sono in fiamme, anche i Lager. Brandelli di corpi penzolano dai reticolati.
La pace scoppia il 7 maggio del 1945.
Il don Barbero che esce dalla brutalità di questa esperienza è compreso nel finale delle sue memorie, pubblicate nel Natale del 1945: „…siam tornati con idee ben chiare e con propositi ben saldi… Abbiamo compreso che [l‘Italia]… non deve essere governata da un regime totalitario o settario, ma da un governo veramente democratico, che rispetti tutte le aspirazioni e le libertà di un popolo, non escluso il libero esercizio del culto.“
Egli sembra anticipare il dettato della nostra Costituzione.
L‘opera di don Barbero sarà un’importante testimonianza della barbarie nazionalsocialista e fascista. Le sue memorie sono state tradotte in tedesco e sono un testo che si usa nei corsi di storia.
Il suo racconto della barbarie dell’internamento è la traccia di una mostra che ha girato l’Italia e che, ora, è il fulcro d’un centro di documentazione. A Centallo (Cuneo), il paese dove visse e fu parroco.
A cura di Luigi Rossi
Foto: due pagine del diario di Don Giuseppe Barbero
Si ringrazia per la collaborazione l’Associazione Centallo Viva (Centallo, Cuneo)
Questa rubrica presenta informazioni di carattere storico, culturale, scolastico e… curiosità che riguardano la storia della presenza italiana nella Circoscrizione Consolare di Dortmund. La rubrica è aperta a chi desidera collaborare. |